(4) Don Vito Spagnolo ssp - dicembre 2005
lettera divisa nelle 4 settimane
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L’umiltà è riconoscimento della verità dell’uomo, è guardare alla realtà delle cose per quelle che sono: l’uomo è la creatura di Dio che nasce e muore in un batter d’occhio, ma che ha la possibilità di ricevere da Dio, nell’umiltà, una vita eterna di gioia con Lui. Attraverso l’umiltà l’uomo si apre alla chiamata e all’invito di Dio. Il contrario dell’umiltà è rimanere chiusi in se stessi, pieni solo di interessi personali, tesi unicamente a realizzare le proprie mete e ambizioni, e quindi incapaci di ascoltare una possibile voce di Dio. Gesù è il maestro di umiltà. Ce lo insegna nella mangiatoia di Betlemme, nella falegnameria di Nazaret, sulla groppa dell’asinello mentre entra in Gerusalemme (Mt 21,5), nella sala del piano superiore di quella casa di Gerusalemme dove lava i piedi ai suoi apostoli (Gv 13,1-20): “Che lezione di umiltà!” commenta Agostino.
Dio-Amore è necessariamente anche umiltà, servizio, svuotamento che fa posto all’altro. Gesù inizia i suoi insegnamenti delle Beatitudini con un primo scalino essenziale: “Beati i poveri in spirito”. Solo l’umile è sensibile alla verità della realtà, si accorge che tutto è dono (1Cor 4,7) e vive nella gratitudine verso Dio, e a sua volta questa gratitudine rafforza l’atteggiamento di umiltà. Dimenticare il fatto che tutto è dono di Dio ci conduce fuori dalla verità, nel regno della falsità sul cui trono siede la superbia. Bella l’immagine riportata da Luca al capitolo 18 versetti 9-14 in cui Gesù fotografa l’atteggiamento superbo e arrogante del fariseo e indica il pubblicano come modello. Infatti il pubblicano riconosce umilmente la verità del suo peccato, se ne pente e riceve il perdono dal Dio dell’amore, trionfando sul suo peccato: “chi si esalta sarà umiliato e chi si umilia sarà esaltato”. L’umiltà ha stretti legami con la fede. Questa se c’è ed è autentica, rende umili. L’umiltà quindi diventa segno di discernimento se uno vive o no con il Signore. La superbia, l’orgoglio, il giudizio facile, segnalano con chiarezza il dramma della distanza da Dio che il “credente” sta vivendo. San Tommaso mette l’umiltà al primo posto, “in quanto scaccia la superbia a cui Dio resiste e rende l’uomo sottomesso e aperto a ricevere l’infusione di grazia”. Al contrario, davanti all’orgoglioso e a colui che è pieno di sé, Dio “piange in segreto dinanzi alle loro superbie” (Ger 13,17).
È il “fallimento di Dio”, della sua grazia. Resta solo il dolore del Padre... E del figlio, quando si accorgerà cosa ha rifiutato e cosa ha scelto. Preghiamo, carissime Annunziatine, perché questo tempo di Avvento (= il Signore viene) e di Natale (= nascita) sia per noi un tempo di “nascita mistica” del Figlio di Dio nella nostra anima, come ci ricorda Don Alberione nella sua meditazione. “A che mi serve che Cristo è nato una volta da Maria se oggi non nasce in me attraverso la fede?” ha scritto Origene. E Cristo, che realizza in sé i due comandamenti dell’amore a Dio e dell’amore al prossimo, ci comunica se stesso e questo amore “quando ci nutriamo del suo corpo e del suo sangue nell’Eucarestia” ci dice il Papa nella sua omelia. E l’Agàpe, cioè “l’amore gratuito, l’aiuto disinteressato, la sofferenza condivisa” è il cuore del messaggio cristiano, è il cuore stesso di Dio che “è amore” (1Gv 4,8.16), come nota bene don Girlanda nel suo commento al capitolo 13 della 1ª lettera ai Corinzi. E tutto questo vissuto all’interno della nostra vocazione di Annunziatine nella Famiglia Paolina.

Fine

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